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Le bugie non si dicono! Perché tuo figlio ti dice le bugie?
“Le bugie non si dicono!” “Le bugie hanno le gambe corte, fai attenzione!” “Guarda che se non mi dici la verità divento poi cattiva/o!” “Guarda che io so sempre se mi stai mentendo!” Quante volte hai sentito dire queste frasi quando eri bambina o bambino? Io le ho sentite spesso e… devo dirti la verità 😉… altrettanto spesso ho detto delle bugie ai miei genitori o all’insegnante o ai miei nonni. In particolare ricordo molto bene come ad un certo punto, forse intorno agli 11-12 anni iniziai proprio a mentire anche per gioco. Da un lato iniziavo ad essere proprio un po’ arrabbiata con la mia famiglia e usavo le bugie come ripicca. Dall’altro lato c’è da dire che riconoscevo la mia bravura nel dirle e decisi che poteva diventare anche un gioco: quante e come riuscivo a dirle e per quanto tempo riuscivo a reggere il gioco ricordandomi qual era la bugia, con tutto quello che le ruotava intorno e tutte le cose che dovevo ricordare di dire al posto della verità. Mamma mia!… Se ci penso!… Oggi naturalmente riconosco sia che le bugie non si dicono e che abbiamo bisogno di insegnare ai nostri figli a non farlo, sia che i bambini hanno sempre un motivo per cui lo fanno e che tendenzialmente questi motivi sono validi e significativi. È importante evitare fin da subito di pensare che i bambini dicano le bugie perché sono cattivi o perché sono maleducati o irrispettosi. Assolutamente non è così. Nessun bambino nasce cattivo, maleducato e irrispettoso. Le cose più utili che possiamo fare in prima battuta sono: 1️⃣ Accorgercene e prenderne atto 2️⃣ Evitare di arrabbiarci e umiliarli 3️⃣ Correre ai ripari prendendoci il tempo necessario per osservare come mai sta succedendo 4️⃣ Avere la pazienza di invertire la rotta un po’ alla volta (come ti racconterò poco più avanti) Uno dei punti più importanti è di sicuro soffermarci innanzitutto sulla motivazione. Qual è la vera motivazione che spinge nostro figlio o nostra figlia a dirci una o più bugie? Inizio a farti qualche esempio così che possa esserti utile per iniziare a osservare cosa sta succedendo o cosa è successo negli ultimi tempi e cogliere il perché: Forse è un modo per attirare l’attenzione perché si sente trascurato/a o vuole emergere rispetto ai fratelli e alle sorelle. Magari perché non passiamo abbastanza tempo con lui/lei o questo tempo non è di qualità. Forse è un modo per punirci: “tu ti arrabbi con me, mi punisci, sei dura/o nei miei confronti. Ho visto che quando ti racconto una bugia ti dà molto fastidio… bene… continuo a farlo e a provocarti“. In particolar modo quando dico le bugie finalmente mi consideri: “è vero, mi sgridi, mi rimproveri, ti arrabbi, mi inveisci contro… ma almeno mi sento considerato/a… allora continuo“. Forse è una reazione ai nostri tanti no, alle nostre punizioni, alle nostre sgridate. Per esempio se tendiamo a dire tanti no senza considerare le loro motivazioni, senza accogliere il loro disappunto. Oppure se tendiamo a rimproverarli o bloccarli appena dicono o fanno qualcosa che a noi non piace o diverso da quello che ci aspettiamo. Forse è questione di sicurezza in se stessi, autostima, o timore di deluderci. Per esempio quando dicono di avere anche loro qualcosa che gli amici hanno anche se non è vero. Quando dicono di sapere cose che in verità non sanno o dicono di aver capito anche se non è così pur di non mostrare la loro difficoltà, ecc. Forse hanno timore della nostra reazione aggressiva o timore di non venire compresi. Ad esempio quando mangiano qualcosa di nascosto e ci dicono che non è vero. O quando hanno ricevuto un rimprovero a scuola e non ce lo dicono. O quando magari hanno fatto uno sgambetto alla sorella o al fratello e ci dicono che non è vero. Forse sta imitando compagni o compagne di scuola che dicono bugie e la cosa sembra farli diventare più “furbi” di tutti gli altri “…allora lo faccio anche io“. Per curiosità: cosa succede se provo a dire una bugia così come ho visto fare dal mio compagno di scuola, da mia mamma, da mio papà, da mio fratello (se lo fa lui posso di certo farlo anche io), ecc.? Individuare la o le possibili motivazioni è fondamentale perché così possiamo intervenire nel tempo, con costanza, un passo alla volta, direttamente sulla causa. Se è questione di insicurezza agire per aiutarlo/a a ritrovarla, se è questione di attenzioni gliele daremo, ecc. So già che forse ti stai chiedendo: “Ok, ma nel momento in cui mi sta dicendo una bugia o appena lo scopro che faccio? Cosa gli dico? Come mi comporto?” Benissimo, ecco cosa puoi fare: 1️⃣ Evita di arrabbiarti 2️⃣ Puoi fargli sapere in maniera serena, senza accuse o minacce o rimproveri, che hai capito o sai bene che si tratta di una bugia: “Secondo me questa è una bugia…”, oppure “Scommetto che non è vero…”, oppure “Mmmhhh… mi sa che non è così”. Ricordati che sei il suo aiutante magico e quindi non si tratta di “beccarlo” o di chi ha ragione. Sei dalla sua parte e vuoi solo comunicargli tranquillamente che sai la verità 3️⃣ Poi, a seconda dell’età, avremo un tono diverso, diremo parole diverse. Ma l’obiettivo sarà quello di esplicitargli che cosa è successo, domandargli come mai o dirgli come mai può essere successo e dirgli come fare la prossima volta per evitare che si ripetano bugie, dato che sono inutili. Ti faccio un paio di esempi. Se è piccolino e ha preso una caramella dal contenitore, l’ha messa in bocca, ne ha presa una seconda e l’ha messa in tasca, ne ha presa una terza e l’ha nascosta sotto il cuscino dopo che gli avevi detto “basta caramelle, ne hai già mangiata una oggi”, puoi: 1️⃣ Dirgli che sai che delle caramelle gli sono proprio scivolate addosso e una è finita in bocca, un’altra forse è scivolata in tasca e un’altra ancora forse è scappata in cameretta. 2️⃣ Gli dici che la prossima volta può dirti che forse non hai capito e che lui ha davvero tantissima voglia di mangiarsi altre caramelle perché… “sono trooooppo buoneeeee!” Lo so che me ne avevi chiesta un’altra e alla seconda ti dico sempre di no, non avevo capito che ti piacessero così tanto. Adesso che lo so e me lo hai detto, allora tutte le volte in cui sarà possibile ne mangerai una più. Te ne procuro di quelle che non fanno troppo male ,così puoi mangiarne una dopo pranzo e anche una a merenda. Vedi che non ti rimprovero, quindi se ti capita di volerne un’altra dimmelo e se si può te la do subito volentieri, altrimenti la prendiamo già e la teniamo da parte per dopo quando si potrà mangiare”. 3️⃣ In questo caso conta molto questo atteggiamento disponibile a comprendere il suo punto di vista e mostrargli sinceramente che vogliamo davvero venirgli incontro. 4️⃣ Poi sarà importante andare a comprendere se è questione di troppi no secchi e intransigenti da parte nostra. O se lo fa perché ha particolare bisogno di dolci. Cercheremo di comprendere come mai, o se lo fa per attirare la nostra attenzione, ecc. e agiremo con pazienza sulla motivazione. 5️⃣ Nel frattempo, in questo caso, potremo per esempio procurarci delle caramelle naturali senza troppi zuccheri e senza zuccheri o coloranti o ingredienti artificiali. In uqesto modo potremo essere un po’ più di manica larga ogni tanto. Oppure, cosa che piace tantissimo ai bambini, possiamo fare insieme delle caramelle naturali, conservarle con cura e man mano educarli al fatto che se ne può mangiare qualcuna in più ma c’è un numero che non va superato, che non se ne possono mangiare troppe e che subito dopo vanno lavati i denti. Possiamo aiutarli con pazienza a creare questa abitudine e a comprenderne il senso (ricordati però sempre di agire sulla motivazione altrimenti queste soluzioni potrebbero dimostrarsi inutili). Quindi il segreto è dare il limite e le regole che crediamo più corrette senza necessità di minacciare o urlare, cercare di comprendere la motivazione (e nel frattempo trovare alternative più salutari). Se vuoi approfondire questo argomento, puoi leggere questi articoli: Tuo figlio non ascolta? Scopri perché non accetta le regole e i tuoi no Punizioni Bambini: soluzioni concrete per Educare senza Punire Quando poi i nostri figli crescono, capita spesso di temere ancora di più le loro bugie. Cosa puoi fare se per esempio scopri o sei venuta a sapere che tuo figlio o tua figlia di nascosto ha provato o iniziato a fumare? 1️⃣ Evitando arrabbiature, minacce e filippiche, come per il primo caso possiamo intanto far sapere che lo sappiamo o che lo abbiamo capito e che sappiamo di non sbagliare. Con serenità possiamo dire per esempio: “Allora anche tu alle prime esperienze con le sigarette? Che effetto ti ha fatto? Come ti sembra? Soddisfatta la curiosità?… Ci tenevo a dirti che lo so, che non ho intenzione di rimproverarti e che ho piacere di raccontarti la mia esperienza in proposito e quello che penso” 2️⃣ Possiamo trovare un momento con calma sia per ascoltare lei/lui e le sue impressioni o quello che vorrà raccontarti (che all’inizio potrebbe non essere la verità o solo una parte della verità) e sia per raccontare serenamente quello che pensiamo in proposito (se per esempio siamo dei fumatori pentiti, se anche noi abbiamo provato a fumare e a che età, cosa pensavamo allora e cosa pensiamo oggi, i pericoli futuri nel fare questa scelta, raccontare loro perché giovani e adulti si rifugiano in questo tipo di esperienze o hanno bisogno di questi palliativi, ecc…) 3️⃣ Dato che il rimprovero non c’è, possiamo chiedere loro di essere sinceri e chiedere loro di poter mettere delle regole e dei paletti fermi se magari ci rispondono che non hanno intenzione di smettere. Per esempio regole che possano aiutarli a non esagerare, a limitare i danni più possibile, ecc. Naturalmente questi sono solo esempi perché sarai poi tu a trovare le argomentazioni giuste o a decidere che cosa fare, perché potrebbe essere che ti dica che ha solo provato e non ha intenzione di proseguire ma temeva il rimprovero o si vergognava. Potrebbe dirti che vorrebbe smettere ma non riesce e chiede il tuo aiuto dato che vede che sei serena/o a riguardo. Potrebbe innervosirsi e dirti che sono fatti suoi, ecc. 4️⃣ Come ti scrivevo sopra, anche in questo caso è importante cogliere la motivazione su ampia scala per sapere come intervenire. Per esempio: forse lo fa come forma di ripicca e ribellione nei nostri confronti perché la relazione tra noi non è idilliaca? Forse sono cattive compagnie quelle che frequenta?Forse vuole sentirsi come gli altri ed è quindi questione di autostima? Sta magari davvero solo provando e so che finirà tutto nel giro di poco? Forse compensa qualcosa di affettivo che gli manca dentro? Ecc. Se i nostri figli sono più grandi come in quest’ultimo caso, è probabile che servano più tempo e pazienza per riottenere la loro fiducia e ripristinare una buona relazione mettendo da parte cattive abitudini che magari hanno costellato gli anni precedenti ma di sicuro vale la gioia procedere 😊 In ogni caso, piccoli o grandi che siano, ti invito a non demordere, seguire i passi che ti ho indicato senza fretta e senza demoralizzarti. Sono certa che potrai accogliere anche tu nella tua famiglia i semi della sincerità e della trasparenza.
Basta Ciuccio! 4 step per togliere il ciuccio senza traumi
Come togliere il ciuccio (di giorno e di notte) e sapere quando farlo è uno degli argomenti più richiesti dai genitori. Ecco perchè in questo articolo trovi i 4 passi completi per eliminare il ciuccio di giorno e di notte rispettando i bisogni di tuo figlio 🙂 Le indicazioni sono valide se tuo figlio ha 1 anno, 18 mesi, 2 anni, 3 o più anni. C’è chi sostiene l’utilizzo del ciuccio sempre e comunque ed è convinta che senza ciuccio non si possa gestire un bambino piccolo. Ci sono mamme che invece sostengono che senza ciuccio i figli si gestiscono benissimo e di conseguenza non si sono mai ritrovate a dover capire come e quando toglierlo. Sì, hai letto bene sopra, anche se sembra per molti una tappa quasi obbligatoria e scontata, ci sono mamme che non hanno mai utilizzato il ciuccio. Oltre alla scelta iniziale di usare o meno il ciuccio poi ci sono diversi dubbi e dilemmi che ogni mamma si trova a dover risolvere, per esempio in molte vorrebbero sapere: Quando togliere il ciuccio? Esiste un’età giusta e più corretta per eliminarlo? Ci sono modi più corretti per togliere il ciuccio senza traumi e senza crisi? Quanto dura la crisi di astinenza da ciuccio? E come si risolve? Quanto ci mette un bimbo ad abituarsi senza ciuccio? In quanto tempo lo dimenticherà e non lo chiederà più? Ci sono modi per addormentare i bambini senza ciuccio? Perché i bambini vogliono il ciuccio e continuano a chiederlo? E poi ci sono anche altri elementi che ci confondono, per esempio tutti i modi possibili che trovi in giro e che a volte aumentano solo l’ansia su come si dovrebbe togliere il ciuccio: dal tagliarlo/romperlo al farlo sparire improvvisamente dalla casa, dal dargli un sapore cattivo in modo da convincere il bambino a non usarlo più al fare finta di perderlo. Per fortuna esistono suggerimenti che prendono in considerazione lo stato d’animo di tuo figlio, che non prevedono di prenderlo in giro e soprattutto che aiutano a tranquillizzare te, il vero ago della bilancia in ogni relazione mamma-bambino. In questo articolo troverai i suggerimenti: 1️⃣ per preparare te stessa e il tuo bambino ad affrontare questo delicato passo se sei agli inizi della tua maternità 2️⃣ per sapere cosa fare passo passo se tuo figlio è già un pochino più grande e pensi sia arrivato il momento di togliere l’amato ciuccio 3️⃣ come gestire le reazioni di tuo figlio nella fase di passaggio mentre togli il ciuccio Ovviamente le informazioni di questo articolo sono presentate solo a scopo informativo. Chiedi sempre il parere del tuo medico/specialista riguardo qualsiasi indicazione specifica sulla tua situazione. Per qualsiasi dubbio o domanda è sempre necessario contattare il proprio pediatra di fiducia. Partiamo dal principio: se devi ancora diventare mamma o sei agli inizi ecco cosa devi sapere sul ciuccio Se devi ancora diventare mamma o papà o se sei proprio agli inizi della tua avventura di genitore puoi prendere in considerazione l’alternativa di fare a meno del ciuccio. So che ti sembra un suggerimento un po’ strano, eppure anche se il ciuccio per molti è ritenuto una tappa quasi obbligata devi sapere che ci sono tantissime mamme che non hanno mai usato il ciuccio con i figli. Ti scrivo queste parole non perché, per partito preso, io ho deciso che non volevo usare il ciuccio con i bambini. Sei perfettamente in grado di risolvere qualsiasi difficoltà tuo figlio abbia in qualsiasi momento Il motivo è che, osservando la natura dei bambini e osservando anche la dinamica del ciuccio, quindi cercando di capire come mai esistesse questo strumento, sono arrivata alla conclusione che tutto quello che di fatto fa il ciuccio lo possiamo fare noi. Oltre all’allattamento, ci sono le nostre braccia ad accoglierlo, contenerlo e consolarlo quando sta piangendo e a rassicurarlo quando ha paura. Quando sta piangendo ci sono le nostre parole e il tono della nostra voce, il nostro cuore per accoglierlo e calmarlo (oltre che le nostre azioni concrete che possono risolvere i motivi per cui piange). Ha le nostre coccole che lo accompagnano al sonno e lo fanno addormentare. Se piange perché ha fame possiamo dargli da mangiare. Quando piange perché ha caldo possiamo svestirlo, se ha freddo possiamo coprirlo di più. Se piange perché c’è stato un rumore forte, o perché è arrabbiato, o va consolato per qualche motivo, lo possiamo fare noi con la relazione che abbiamo con lui. Non abbiamo bisogno di usare il ciuccio per tamponare o spegnere il pianto, che non è altro che la manifestazione di un’esigenza o di un problema che sente di avere in quel momento. Quindi, se sei agli inizi e pensi di poter considerare il fatto che il ciuccio non sia così utile, puoi tranquillamente farne a meno e puntare invece molto sulla relazione che hai con lui. Sii consapevole del fatto che hai tutte le carte in regola per dare a tuo figlio tutto quello di cui ha bisogno e che sei perfettamente in grado di risolvere qualsiasi difficoltà lui abbia in qualsiasi momento. Se già lo utilizzi ecco la guida completa: come togliere il ciuccio, di giorno e di notte, in 4 passi (+ come gestire le “crisi”) Se invece utilizzi il ciuccio da mesi o anni e magari ti stai chiedendo quale sia il momento migliore per toglierlo, o se sei nella fase in cui ti stai dicendo “forse è ora di iniziare a togliere il ciuccio perché ho paura che poi diventi troppo tardi” ecco come puoi fare. Quand’è il momento migliore per togliere il ciuccio? Proprio rispetto a tutto quello che ti ho detto finora, il momento migliore è quando vuoi e, magari, appena puoi. Perché? Perché più i bambini crescono e più fortificano le abitudini che hanno iniziato ad apprendere. I bambini sono molto legati alle loro abitudini e il fatto di costruirle dentro di loro li aiuta a trovare dei punti di riferimento. Pensa ad esempio alla routine della mattina che si ripete sempre uguale: sveglia, pipì, lavarsi, vestirsi, colazione, lavarsi i denti, uscire. Quando magari la routine per qualche motivo cambia, ad esempio scendete subito a fare colazione senza che tu l’abbia vestito prima, ti guarda stranito come per dire “ma no, dobbiamo prima vestirci, abbiamo sempre fatto così!”. La routine e le abitudini che si ripetono giorno pressoché uguali dopo giorno sono una sicurezza per i bambini e li aiutano ad imparare. Ma che cosa c’entra questo con il ciuccio? Perché così come man mano che i bimbi crescono e diventano più consapevoli di queste abitudini, tanto da seguirle spesso in autonomia, la stessa cosa vale per il ciuccio: in automatico lo cercano e, mano a mano che crescono, se lo mettono anche da soli. L’abitudine si sta fortificando e il bambino pensa: “Per consolarmi, per rilassarmi, per confortarmi mamma e papà mi hanno sempre dato il ciuccio. Questo significa che è quello il modo che usano gli adulti per consolare, coccolare e rassicurare i bambini. Ed è ormai da tempo che io ho imparato a consolarmi e confortarmi in questo modo, non conosco altro. E se conosco altro, comunque è questo il modo con cui mi sono sempre consolato, l’unico che mi rassicura. Dunque, nel momento in cui i bambini crescono, questa abitudine si fortifica e diventano sempre più consapevoli degli strumenti che usano e a seconda dell’uso sarà sempre un po’ più complicato disabituarli ad usare questo strumento di conforto e di coccola. Un paragone, anche se un po’ estremo, è ciò che succede ad un adulto fumatore. È facile smettere di fumare se lo fai da una settimana, ma è più difficile se lo fai da 5 anni. E’ più facile smettere di fumare se fumi giusto una sigaretta dopo pranzo mentre è più difficile se ne fumi 20 al giorno. Per i bambini è la stessa cosa: prima lo facciamo e più è possibile farlo in maniera veloce e anche più serena per il bambino. Cosa faccio in pratica quando decido che è arrivato il momento di togliere il ciuccio? Dopo queste premesse, che cosa puoi fare quando decidi che probabilmente è arrivato il momento di fare a meno del ciuccio? Le soluzioni che, dal mio punto di vista, funzionano di più sono diverse e non sono dirette. . Ti anticipo che è possibile tenere in considerazione e rispettare i bisogni emotivi di tuo figlio, evitare l’eliminazione del ciuccio improvvisa, evitare un “trauma” da ciuccio, prevenire reazioni di nervosismo dopo aver tolto il ciuccio o dire bugie ai figli del tipo: “ora me lo dai, non esiste più, lo mettiamo via, piangerai lacrime di sangue…non importa prima o poi ti passa” ti convinco la prima volta con un regalo (…e poi?) ti dico che serve ad altri bambini, che sei grande, che non ne hai più bisogno, adesso basta… Puoi invece mettere in campo per il tempo necessario una serie di soluzioni che ti spiego ora passo per passo. Il 1° passo per togliere il ciuccio: devi essere convinta Quando arriva il momento di togliere il ciuccio a qualsiasi età, 1 anno, 18 mesi, 2 anni, 3 e oltre, i nostri figli sono ancora nella prima fase di crescita, quella in cui “assorbono” da noi adulti, e sono particolarmente sensibili al nostro stato d’animo. Dunque il nostro stato d’animo di mamme influisce tantissimo su di loro, sul loro comportamento, sulle loro risposte. Sarà allora importantissimo e di grande aiuto, se tu per prima sei fermamente convinta che: 1️⃣ È il momento giusto per farlo 2️⃣ Sei consapevole e sicura di avere la capacità come mamma di aiutare tuo figlio ad attraversare questa evoluzione e questa fase di crescita Perché te lo dico? Perché spesso succede invece che noi per prime ci sentiamo insicure e ci facciamo assalire da dubbi come: “ho paura di non farcela se non riuscirò a convincerlo” “mi fa pena, mi dispiace! È abituato da tanto tempo…” “io non sono sicura di avere la forza e la capacità di consolarlo” “io non so cosa fare quando ha paura, io non so cosa fare quando si mette a piangere a squarciagola” “Mi ricordo quando i miei mi privavano di qualcosa e io ci rimanevo malissimo… non voglio fargli del male, non voglio che lui si arrabbi con me” “Non voglio che mi viva come una madre degenere, io ho bisogno del suo amore, non voglio che sia scontento di me” “faccio fatica a dire di no…” Se viviamo tutta questa incertezza, allora vale la gioia aspettare un attimo, fermarci e piuttosto fare qualcosa su di noi. 2° passo elimina-ciuccio: prepara il terreno (individua e soddisfa i bisogni che rimangono scoperti togliendo il ciuccio) Prima di passare alla fase dell’eliminazione del ciuccio di giorno e di notte, inizia ad entrare nell’ottica che, quando toglierai il ciuccio, rimarranno dentro tuo figlio alcuni bisogni “scoperti”. Cosa farà ad esempio senza il ciuccio per: consolarsi rassicurarsi tranquillizzarsi non sentire la noia uscire dallo sconforto calmare la paura Allora il suggerimento è: mentre il ciuccio c’è ancora inizia a preparare un buon terreno. Quindi preparati, con la mente e con il cuore ad essere tu la persona che sa consolare un bambino, che sa prendersi cura di suo figlio, che sa accoglierlo, sa coccolarlo quando piange, che non si spaventa se cade, che lo aiuta nei momenti di difficoltà. Come prima cosa puoi iniziare ad osservarlo meglio. Nota ad esempio quando si sta annoiando, piuttosto intervieni facendo subito qualcosa insieme, facendolo ridere, giocando insieme. Cogli dal suo sguardo quando comincia ad essere stanco, quando ha fame, quando è un po’ sconfortato. Osserva se, quando gli hai detto di no per qualcosa, eri più nervosa e gli hai trasmesso questa tensione: se ti tranquillizzi, sarà anche lui più tranquillo. Se succede una scaramuccia con la sorella, puoi accoglierlo prendendolo in braccio. Inizia ad entrare nell’ottica che per ogni problema c’è una tua risposta che sei in grado di dare, che puoi dare col tuo comportamento, con una tua azione, col tuo sguardo, le tue parole, le tue coccole, il tuo amore, le tue soluzioni. Puoi farlo tu. Puoi farlo anche se si tratta di metterlo a dormire in un orario in cui di solito non dorme se è stanco. Magari si tratta di prenderlo in braccio e coccolarlo un’oretta prima di cena perché ormai si sta stancando, sta diventando capriccioso. Si tratta di cambiare gioco 2 o 3 volte in più in un’ora perché noti che si annoia facilmente e poi comincia a fare i capricci. Magari ti accorgi che si lamenta perché ha fame e piuttosto gli puoi dare da mangiare una volta in più. Non hai bisogno di tamponare con il ciuccio una sua manifestazione emotiva. Questo è il gioco forza: perché se ti prendi qualche giorno, qualche settimana per abituarti con calma ad essere tu la soluzione alle sue difficoltà, allora il terreno sarà preparato. Quando poi, pian piano, un po’ alla volta, toglieremo il ciuccio, tu non cadrai giù senza paracadute, perché avrai preparato questo terreno in cui la soluzione sei tu.. 3° passo: inizia a non dargli subito il ciuccio A questo punto, dopo esserti e allenata per qualche giorno o qualche settimana, prova a cominciare a non dargli subito il ciuccio appena inizia a piangere. Mettilo in un posto non in vista. Potresti essere tu la prima a dimenticarlo in un cassetto fino a sera. Inizia per esempio a darglielo soltanto più per dormire. Prima di dargli il ciuccio per farlo addormentare puoi raccontargli una storia, cantargli una canzone, cullarlo, accarezzarlo. Siamo agli inizi, quindi a questo punto, se non riesce ad addormentarsi subito, puoi anche dargli il ciuccio. Intanto avrai però già fatto un sacco di cose prima di darglielo e, invece di fare come è successo fino al giorno prima, il tempo sarà stato più allungato. Puoi fare la stessa cosa ad esempio quando si sta annoiando, quando è più stanco, quando piange per qualche motivo: puoi aspettare a dargli il ciuccio e intervenire tu con questa modalità che stai già coltivando da qualche settimana. 4° passo per togliere il ciuccio: gestiamo le reazioni di tuo figlio 👉 Se tuo figlio è molto piccolo (entro l’anno/anno e mezzo) Come già ho spiegato, naturalmente l’età incide molto sulla reazione che avrà il tuo bambino. Se tuo figlio è molto piccolo, entro l’anno, l’anno e mezzo, allora davvero incide tantissimo il tuo stato d’animo. Se tu per prima inizi a dimenticartelo in un cassetto e lui vede che la consolazione, il conforto, l’accoglienza, il calore arrivano da te, si abituerà molto più facilmente. Questo avviene perché lui sta assorbendo da te il messaggio che tu senti dentro: “Ci sono io. L’unica cosa che conosco sono le mie azioni. Le mie braccia, la mia voce, il mio calore: è ciò che ti serve in questo momento.” Se tu diminuisci mentalmente dentro di te il valore che dai al ciuccio, lui lo percepirà. Sentirà che adesso la sicurezza arriva da questo tuo stato d’animo e si abituerà molto più facilmente. Anche lui lo richiederà meno e non sarà così drammatico dimenticarlo sempre più spesso. 👉 Se tuo figlio è un pochino più grande Quando i nostri figli sono un pochino più grandi, ormai si sono abituati e lo usano autonomamente, ci può essere qualche difficoltà in più. In questi casi spesso lo chiedono proprio, piangono, stanno male, urlano “mamma dammi il ciuccio!” e vogliono il ciuccio perché ormai si sono abituati così. Avrai allora bisogno di più tempo e di mettere in pratica queste soluzioni più a lungo. Quindi non ti preoccupare se questa fase dovesse durare un po’ di mesi: va benissimo. Meglio fare con calma e nella maniera migliore che avere fretta, pretendere tutto subito e finire per trovarsi con un bambino che pensa “no, me lo vuoi portare via, io lo voglio! Te lo chiederò sempre più spesso perché sento che me lo stai portando via!” Con calma, ti abitui io dentro di te, superi le tue resistenze, prepari il tuo terreno. Continui a darglielo e poi cominci a dimenticartelo. La prima cosa che farai sarà arrivare ed esserci tu: per consolarlo, coccolarlo, farlo addormentare prenderlo in braccio, accoglierlo ecc, fino all’ultimo, quando gli darai il ciuccio. Lo farai abituandoti a sentirti sicura e costruendo dentro di te la certezza che questa cosa la puoi fare. Sei tu che con autorevolezza gestisci la situazione. Una volta che avremo creato questo terreno e nostro figlio si sarà abituato a questa nostra modalità, glielo daremo in maniera sempre meno frequente, proprio solo nei momenti più critici. Ad esempio glielo potrai dare quando si sta per addormentare perché è abituato così. Quando proprio esplode per qualche “capriccio”, tu non sai più che pesci pigliare e ti stai innervosendo, per esempio possiamo dargli il ciuccio. Sarà magari una volta nella giornata, non capiterà più come prima, in cui lo aveva sempre. A quel punto potremo allora cominciare a salutare il ciuccio, a dirgli innanzi tutto che ci sei tu, che adesso non serve, che lo hai dimenticato nella borsa. Ma lascialo davvero nella borsa, lascialo davvero in macchina, perché servirà anche a te per non avere la scusa di averlo a portata. Infatti all’inizio cosa potrebbe succedere? Lui farà un po’ di resistenza, perché è abituato ed è normale che sia così. Un po’ come noi adulti davanti ad un “questa sigaretta non la puoi fumare” “no questo tiramisù lo lasciamo in frigo, lo mangi domani”. In questi casi succede che magari vai un po’ in tensione, hai paura di non farcela a consolarlo e finisci col pensare anche tu “va be’, gli do il ciuccio, la prossima volta vediamo”. Se invece davvero lo dimentichi in macchina ci sei soltanto tu. Sarai tu che dovrai accogliere senza l’aiuto del ciuccio, questo pianto anche importante, questa frustrazione di tuo figlio. E ce la farai. Magari durerà un pochino di più. Forse ci metterai 20 minuti, o mezzoretta ma ce la fai. Lo puoi fare davvero. Del resto, come accogliamo una grande frustrazione di nostro figlio che ha 7/8 anni e non ha più voglia di studiare, o quando dobbiamo spegnere la televisione o quando non può fare un’altea partita a un video gioco. Anche in questo caso la frustrazione è enorme, magari lui è arrabbiatissimo. Cosa facciamo, gli diamo il ciuccio? No! Risolviamo con le nostre forze. Risolviamo all’interno della relazione. Ecco il modo di pensare è lo stesso. Puoi tranquillamente fare a meno del ciuccio anche se il pianto e la frustrazione sono un pianto e una frustrazione importanti. Che cosa gli dico se incontro resistenze? Mi è capitato di sentire racconti di alcune mamme che mi hanno detto: “Guarda Roberta, preparando il terreno così, essendo convinta io, sembra quasi davvero che se lo dimentichi. Ho fatto questa sorta di svezzamento un po’ alla volta, ad un certo punto gli ho detto “il ciuccio adesso lo diamo alla fatina dei ciucci che in cambio che può farlo andare insieme a tutti i suoi amici ciucci nell’isola dei ciucci. Mi ha detto che in cambio ti porta un regalino, quella cosa a cui tenevi tanto”. Lui, tranquillo, non me lo ha più chiesto. E tanto se succede qualcosa ci sono io, se mi dice “ciuccio!” io gli dico che lo abbiamo dato alla fatina, lo coccolo finché ne ha bisogno, risolvendo i bisogni e i suoi stati d’animo e non ho problemi.” Altre volte i nostri figli fanno un po’ più di resistenza e c’è un po’ più di difficoltà. Le prime volte avranno più nostalgia del ciuccio, i pianti e le frustrazioni saranno un po’ più importanti, e ciò non significherà che tu abbia sbagliato qualcosa. Ogni situazione è diversa. Anche in questo caso, con sicurezza, continua ad accogliere il pianto, ferma sulla tua decisione. Storia per togliere il ciuccio: quando il nostro amico prende la parola e rassicura tuo figlio Lo consoli, lo accogli, sei sensibile al suo dispiacere e dici a tuo figlio: “mi dispiace tanto che tu stia male così e lo so, prima c’era il ciuccio, ma non importa perché adesso ci sono io, puoi piangere tranquillo, anche se hai nostalgia del ciuccio. Anche io ogni tanto sono triste, quando papà magari va a lavorare via per due o tre giorni, io sento nostalgia di papà e il mio cuoricino piange, anche a me scende la lacrimuccia, perché sento proprio questa nostalgia. Mi chiedo: ma come faccio senza papino alla sera, che non dorme con me, e non possiamo mangiare insieme, non parliamo insieme? Lo so, ci vuole un pochino per abituarsi. Allora sai cosa facciamo? Adesso diamo un pensierino al ciuccio, gli diciamo “ciao ciuccio, come stai lì nel mondo della fatina? Con tutti i tuoi amici ciucci?” Sentiamo un po’ che cosa dice? Io lo sento nel cuoricino: “sto bene, sto bene! Mi dispiace Luca che stai così male! Io qua mi sto divertendo tanto con tutti i miei amici ciucci! E col gioco che ti ha dato la fatica ti stai divertendo? Lo sai che l’ho scelto io per te? Andiamo a prendere un po’ questo giochino?!” E magari con la connessione del giochino e del ciuccio, con le tue parole sicure, calme, amorevoli e balsamiche lo tranquillizzi come in qualsiasi altra situazione e per qualsiasi altro “capriccio”. Quindi se ci saranno delle resistenze iniziali è naturale che ci siano e le potrai affrontare come qualsiasi altra situazione. Se vuoi approfondire come affrontare le reazioni e i “capricci” dei bimbi, puoi leggere questo articolo: Guida completa per i Capricci dei Bambini (se li ignori si moltiplicano)
Si attacca a Videogiochi e Telefono tutto il giorno
Vediamo come gestire al meglio i dispositivi tecnologici? Cosa puoi fare se tuo figlio vuole stare tutto il giorno attaccato a Tv e videogiochi?
Tuo figlio non dorme o si sveglia di notte? Scopri perchè
In questo articolo sfatiamo un po’ di miti sul sonno dei bambini, sul perché fanno fatica ad addormentarsi e rispondiamo a queste 5 domande che preoccupano tanto mamma e papà: 1️⃣ Perché i bambini a volte non dormono? 2️⃣ Perché un bambino non si addormenta da solo? 3️⃣ Come puoi fare la sera per favorire il sonno di tuo figlio? Come aiutare il bambino a fare la nanna? 4️⃣ Perché i bambini piccoli non dormono per tutta la notte ma si risvegliano più volte? E’ normale se il bimbo si sveglia di notte? “Deve dormire da subito nella sua cameretta, altrimenti si vizia e a 20 anni te lo troverai ancora nel lettone!”. Quante volte l’abbiamo sentita? Personalmente, tantissime! C’è chi lo dice convinto e lo sostiene come un dogma. C’è chi lo dice abbassando lo sguardo, incespicando un po’ con le parole e con un po’ di titubanza, perché non ne è tanto sicuro. E magari ha paura di non riuscire a gestire un bimbo nel lettone e soprattutto il passaggio successivo dal lettone alla cameretta. Altri lo dicono forte e chiaro perché lo hanno sperimentato con i propri figli (anche se non ho mai visto nessun “amante del lettone” tenersi aggrappato a quel materasso anche a 20 anni). Falsi miti sul sonno Per esempio, ecco cosa mi è capitato a grandi linee di leggere e di sentire: In fatto di sonno bisogna parlare di educazione al sonno, perché è importante insegnare al bambino a dormire bene. Il bambino deve poter sperimentare le sue capacità di autorilassamento. Solo educandolo correttamente diventerà un adulto in grado di calmarsi in autonomia Bisogna dire al bambino che deve dormire nel suo letto, spiegando le motivazioni. È vero che è bellissimo dormire tra le braccia di mamma e papà. Ma il bambino deve essere educato fin da piccolo al fatto che ce la può fare da solo. Lasciatelo nella sua camera e all’inizio piangerà, urlerà, vi vorrà con lui. Voi rimanete sulla vostra posizione, affacciatevi ma non toccatelo, ditegli che lo amate ma che deve imparare a dormire da solo. Nel giro di pochi giorni sarete una famiglia felice. Quella di dormire nel lettone e del co-sleeping è una abitudine malsana. Se riesci a non cedere alla tentazione di portarlo nel lettone, bene, continua così. Allunga i tempi tra una volta e l’altra in cui ti avvicini al lettino una volta che ha iniziato a piangere. Restando vicino al bambino non lo stai aiutando, portagli piuttosto un po’ di latte o un biscotto. Entro l’anno il bambino deve dormire da solo. Dormire nella stessa stanza di mamma e papà è pericoloso perché il bambino respira l’anidride carbonica che tu emetti, quindi anche la culla deve stare a giusta distanza dal letto. Inoltre dietro il co-sleeping si cela il pericolo del surriscaldamento. Dato che il lettone è tanto desiderato dai bambini deve diventare una cosa che si conquista e al massimo un’eccezione. Se lo addormenti in braccio, non ne vorrà sapere di dormire in altri modi e tu diventerai sua schiava. La prima domanda è: davvero la natura ha considerato il sonno una cosa da imparare? Davvero l’abitudine al sonno può essere considerata una “nozione da apprendere”? Non ti sembra alquanto assurdo e improbabile? Tutti da che mondo è mondo, grandi e piccini, se ci sappiamo ascoltare e ci rendiamo conto di essere stanchi, andiamo a letto e ci addormentiamo. Quando non è così semplice, o abbiamo problemi di insonnia oppure sappiamo che dietro c’è lo zampino di qualche situazione, preoccupazione, arrabbiatura. Per i bambini è ancora più immediato: soprattutto se molto piccoli, vivendo in relazione costante con il presente, li possiamo vedere spesso crollare tra le braccia di mamma e papà oppure sul seggiolone. Anche per loro, se ci sono tensioni, paure o disagi, il momento dell’addormentamento può risultare difficoltoso e anche loro possono avere un sonno disarmonico. Più avanti scoprirai cosa si può fare in questi casi. Ma intanto iniziamo a scardinare qualche falsa credenza. Vediamo cosa davvero la natura dei bambini richiede per il sonno e come funziona davvero il sonno dei bambini. Ritmo sonno veglia: quando risvegli e sonno profondo danzano insieme Tutti i bambini nascono con una concezione dello spazio/tempo molto differente, per fortuna, da quella di noi adulti. Non conoscono l’ora e gli orologi e hanno una idea dello spazio che incorona la mamma come perno. Insomma, se tuo figlio fosse un compasso, avrebbe la sua mamma come sistema fissante. Lui, se fosse la mina, con il passare dei mesi, crescendo, traccerebbe cerchi concentrici di raggio sempre più ampio, distanziandosi e differenziandosi a piccoli passi. Che cos’è allora che determina un bioritmo armonico nel bambino? In lui è vivo fin dal primo momento un ritmo che gestisce la sua crescita e che è in perfetto accordo con i ritmi della natura, che vanno e vengono come delle onde, con dei picchi verso l’alto e dei picchi verso il basso. Questo movimento ondulatorio non appartiene solo alla natura dei bambini ma alla natura tutta. Seguono questo ritmo le stagioni, il giorno e la notte, il sonno e la veglia, le onde del mare, il dondolio del vai e vieni tra le braccia di mamma o di papà quando ci culla, il nostro battito cardiaco. Probabilmente, una volta “arrivato” sulla terra, il battito cardiaco è proprio la prima cosa che il bambino sente, con cui inizia a convivere, da cui si lascia cullare e guidare. È un ritmo che lo rassicura e che scandisce i suoi momenti uterini e continua a guidarlo anche dopo la nascita. Questo movimento ondulatorio non è appannaggio esclusivo del giorno ma accompagna anche le notti del bambino. Dunque, è del tutto normale che più lui è piccino e più la notte sia fatta di sonno e di risvegli che si susseguono l’uno dopo l’altro. A mano a mano che il bambino cresce, i momenti di sonno e di veglia si avvicinano sempre più a quelli dell’adulto. Quindi, come capita di non dormire più di giorno, salvo magari un piccolo sonnellino pomeridiano, ecco che si dorme tutta la notte con il movimento ondulatorio. Questo sarà caratterizzato da un sonno con vari gradi di intensità, ma che non necessariamente comportano un risveglio. Accade, dunque, come durante la giornata, in cui fisiologicamente alterniamo momenti in cui siamo carichi di energia a momenti in cui rallentiamo. Sappiamo che può essere difficile immedesimarsi in quanto descritto, perché oggi i nostri ritmi naturali sono piuttosto alterati. Il bambino alla nascita non ha ancora avuto modo di alterare il suo ritmo ed ecco che di notte si risveglia e si riaddormenta molto frequentemente. A seconda del bambino possiamo assistere a risvegli brevi, dove il nostro cucciolo forse non apre neppure gli occhi. Magari si gira, si rigira, fa qualche movimento, parlotta un pochino e si riaddormenta. In questo ultimo caso mamma e papà possono anche naturalmente non accorgersene, e per questo dicono che il loro bambino dorme filato tutta la notte. Oppure si risveglia richiedendo il seno o chiedendo di essere cullato, consolato e basta una mano, una coccola e il bimbo si riaddormenta facilmente. Non sempre è così. A volte questi risvegli notturni preoccupano mamma e papà perché il bambino sembra agitato e turbato, piange e pare che nulla possa consolarlo. In questo caso riprendere il sonno risulta difficoltoso, da del filo da torcere. Perché succede? Bambini che non vogliono dormire, ritmo e risvegli notturni: ecco 2 motivi per cui non si addormentano facilmente Motivo n° 1 Il ritmo quotidiano non segue il ritmo naturale del bambino Se non conosciamo a fondo i bisogni del bambino, è normale pensare come prima cosa al fatto che mangi, che sia pulito, che non pianga, che cresca bene e trascurare invece il suo bisogno innato di essere a contatto con il ritmo della natura. Questo ritmo è per lui indispensabile per essere rassicurato, per trovare un suo senso di orientamento istintivo. Con esso può rivivere un clima familiare come quello che ricorda l’utero materno e trarne beneficio. Se non badiamo a questo aspetto, per esempio, possiamo non far caso al suo bisogno di riposare dopo aver fatto la poppata, oppure dopo aver corso tutta la mattina al parco. Possiamo credere che sia innocuo trascorrere la serata con la televisione accesa oppure, banalmente, trascorrere l’ora che anticipa il sonno a farci il solletico e a correre. Il ritmo interiore e vitale del bambino viene invece agevolato e non alterato, se quello esteriore legato alla sua quotidianità lo ricalca il più possibile. Ecco che possiamo dunque, a seconda delle età, alternare momenti di sonno e di veglia anche di giorno (quando il bambino è neonato non vale la frase “ma non ha sonno” in quanto segue d’istinto questa ritmicità e, se non accade, è per noi un campanello d’allarme ad indicarci che qualche tensione non lo rende sereno). Possiamo quindi alternare momenti di gioco frenetico a momenti di attività più tranquille, dopo cena possiamo abbassare le luci, abbassare la voce e predisporci per il rito della nanna evitando di “agitare” l’ambiente. Motivo n° 2 I genitori non conoscono come “funziona” il sonno del bambino, si preoccupano e si innervosiscono per i risvegli notturni Senza conoscere il ritmo fisiologico del sonno è normale aspettarsi determinate cose quando invece tuo figlio ne manifesta altre. È possibile che lui, non dormendo di notte, stia manifestando comunque delle parti di se stesso. Noi invece crediamo che la normalità per lui sia dormire tutta la notte. Vorremmo dormire tutta la notte anche noi come prima che lui arrivasse. Pensando che non sia normale, iniziamo a temere per lui, ad agitarci perché non capiamo che cos’ha che non va. Da qui l’incomprensione: iniziamo a cercare di mettere in atto soluzioni per un problema che non c’è. Iniziamo a preoccuparci per i risvegli notturni che sono un problema che non esiste. Diamo la responsabilità al bambino che non dorme 8 ore di fila… Così, invece di accoglierlo in un ambiente armonico possiamo correre il rischio di farlo sentire incompreso, aumentando le sue paure e la sensazione di non poter essere sostenuto e accolto nei suoi bisogni primari. Questo aspetto non va mai sottovalutato perché il bambino non è un adulto e non vive come tale. Noi adulti “sopportiamo” e “ce ne facciamo una ragione” o risolviamo le sfide quando ce le troviamo davanti. Il bambino invece, in quanto tale, non ha ancora la capacità di farlo e sa che la sua sopravvivenza dipende totalmente dalle attenzioni efficaci e dallo stato d’animo dei genitori. Come favorire il sonno nei bambini: la ninna nanna inizia fuori dal letto Non ti preoccupare, non dovrai iniziare a canticchiare “ninna nanna, ninna oohh” già all’imbrunire o mentre mastichi l’ultimo boccone di cena che, di solito, se hai un figlio “piccolo”, si sarà molto probabilmente raffreddato. Niente di tutto questo, ma una cosa sì: dopo l’ultimo boccone di cena e magari anche al primo imbrunire, pensare che di lì a poco o tra qualche ora (dipende dall’età di tuo figlio e dalla stagione) tuo figlio andrà a nanna, può rivelarsi davvero un ottimo inizio. E sai perché? Come ti anticipavamo poco sopra, molto dipende dall’influenza che il ritmo della giornata ha su tuo figlio: se di sera il suo ritmo viene inavvertitamente alterato, sarà per lui più difficile riuscire a scaricare l’energia accumulata durante il giorno. Di conseguenza, pur ninnandolo, pur spegnendo la luce, pur canticchiando tutto il nostro repertorio canoro, rimarrà acceso come una bella lampadina e farà fatica ad addormentarsi. Quindi, l’ideale è che tu possa agevolare e favorire il suo sonno iniziando a rallentare il ritmo, diciamo, a partire dal dopo cena. Per esempio: preferendo giochi tranquilli (disegno, costruzioni, bambole, ecc.) evitando di aumentare l’energia con giochi come nascondino e fare il solletico abbassando le luci evitando il caos (fretta, indecisione, discussioni, nervosismo di mamma e papà, ecc.) Inoltre è ideale dare valore al rito che può coinvolgere il momento della nanna. Anche il rito che si ripete sempre uguale di sera in sera, dà al bambino un riferimento che è per lui sinonimo di sicurezza e che contribuisce a dare valore al suo ritmo interiore. Per rito intendiamo per esempio la fiaba, piuttosto che la canzoncina, oppure il bagno, il pigiama, le coccole e poi la luce spenta: il modo che ogni nucleo familiare trova per agevolare il momento del passaggio armonico dalla veglia al sonno.
Le 5 cause che ti fanno sentire un genitore insicuro (la prima da piccolo ti umiliava)
Quali sono i “sintomi” che ti fanno capire di essere un genitore insicuro e di non avere abbastanza fiducia in te stesso? Quali fattori hanno “demolito” la sicurezza e l’autostima che avevi da piccolo? Oggi quali sono le conseguenze nella relazione con tuo figlio se ti senti un genitore insicuro e inadeguato? Ti scriviamo la soluzione a questi tre dilemmi per aiutarti a fare un passo in più verso lo stato di Genitore Stra-Felice. Scopri se se sei un genitore insicuro Vediamo di riassumere, in linea generale, i “sintomi” del genitore che non ha abbastanza fiducia in e stesso e con bassa autostima di sé: tendi a giudicarti, bacchettarti, lagnarti, paragonarti sei molto duro con te stesso, fai di tutto per metterti sempre in riga. Quando sei stanco e avresti bisogno di staccare o di divertirti, dici che non è il momento e che ci penserai poi a volte potresti essere con te stesso troppo permissivo: ti lasci andare, non reagisci, non trovi nuove strade e nuove soluzioni per toglierti dalle difficoltà secondo il tuo parere ci sono altri che sono sempre più fortunati o più bravi o più capaci o migliori di te ti prendi poca cura di te e dei tuoi spazi: dall’igiene del corpo a quello della casa, dalla cura per l’estetica della tua persona a quella per la tua casa (e qui non è una questione di tempo che non hai o di troppo tempo che ci vorrebbe…) può essere che tu dia molta importanza all’esterno e non all’interno: è molto più importante quello che pensano gli altri rispetto a quello che senti andar bene per te stesso. Quali cause hanno abbassato la tua autostima? L’autostima non è un qualcosa che si costruisce da zero ma qualcosa che è già nostro a pieno diritto fin dall’inizio: dunque quando l’abbiamo persa? Perché oggi siamo dei genitori insicuri? In verità non c’è una data precisa, o un evento particolare. Si tratta di tanti aspetti che riguardano la relazione tra noi bambini e gli adulti che nel tempo, poco alla volta, hanno generato il risultato, ovvero la disistima di noi stessi. Vediamone alcuni: Causa 1: Paragoni Ti paragonavano ai tuoi fratelli o sorelle o ai tuoi compagni di scuola, cugini, vicini di casa, figli di amici, ecc. (senza sapere ahimè che i paragoni umiliano e sviliscono) Causa 2: Ricatti e manipolazioni Pur di ottenere quello che volevano, tendevano senza rendersene conto a manipolarci e utilizzare ricatti: “se finisci tutto quello che hai nel piatto puoi mangiare il gelato” “solo se fai il bravo e mi aiuti ti lascio andare a giocare in cortile” “solo se finisci i compiti guardi i cartoni”. Causa 3: Senso di colpa Ti facevano sentire involontariamente in colpa quando ti accusavano di aver fatto male a un amichetto o a tuo fratello o a tua sorella (non sapevano di dover accogliere prima di tutto le tue emozioni e che se qualcosa era accaduto avevi i tuoi buoni motivi). Quando ti chiedevano di salutare o baciare qualcuno e tu non ne avevi nessuna intenzione, quando ti chiedevano di fare il bravo e tu non sapevi bene cosa volesse dire, volevi essere te stesso e quando ci provavi ti accorgevi che non sempre a mamma e papà piaceva e questo ti faceva sentire a disagio, dispiaciuto, sbagliato. Causa 4: Lasciami stare un attimo! Quando ti dicevano “adesso non ho tempo“, “adesso non posso“, “lasciami stare un attimo“, “poi vediamo, adesso non è il momento“, “no, non si può! Punto e basta!“. E mentre lo dicevano vedevi che si irritavano, si arrabbiavano, sbuffavano o giravano gli occhi al cielo, era come se li stessi disturbando, come se fossi un peso. Causa 5: Disistima dei genitori Quando i tuoi stessi genitori forse si disistimavano profondamente e anche tu hai assorbito e imitato involontariamente le loro ferite o i loro vuoti (ovviamente loro non hanno colpa perché a loro volta sono cresciuti con genitori con bassa autostima). Le 3 conseguenze nella relazione con tuo figlio se ti senti sfiduciato Se tu per primo hai difficoltà a stimarti e ti senti un genitore insicuro, con tutto quello che comporta, è praticamente automatico che tu lo faccia anche con tuo figlio. Magari in forma diversa, ma è comunque facile che tu abbia anche con lui lo stesso atteggiamento di fondo. Senza considerare il fatto che, poiché i bambini assorbono le abitudini e il modo di essere dei genitori, se in te alberga la disistima, può essere che anche tuo figlio adotterà questo modo di percepire se stesso, per assorbimento osmotico. C’è poi una prima grande conseguenza di fondo: tuo figlio si sentirà poco amato e poco accettato (“se non mi amano e non mi accettano loro che sono i miei pilastri, i miei punti di riferimento, le mie guide, quelli che ne sanno più di me, vuol dire che qualcosa di vero c’è di sicuro…”). Di conseguenza, cresce e diventa adulto convincendosi di questa storiella, considerando verità quello che è, invece, un errore mastodontico. Le conseguenze per lui sono le stesse che valgono oggi e che valevano in passato anche per te. Per quanto riguarda poi la relazione in sé, è probabile che: tra genitore e figlio si inneschino più facilmente lotte di potere, che si abbia difficoltà a comunicare e a farlo sul piano del cuore. il bambino, se non si sente accettato per quello che è, se fa fatica a manifestare le sue istanze e le sue volontà perché spesso ha la sensazione che vengano negate o giudicate, ha difficoltà a stimare gli adulti di riferimento, a sentirsi al sicuro e creare sintonia, fiducia e rispetto. a discapito della sua natura, diventa poco collaborativo, non parla con facilità di quello che prova e di quello che pensa. Da un lato sembra chiudersi in se stesso e dall’altro sembra diventare a volte sempre più richiedente, nel disperato tentativo di “recuperare”, di farsi accettare e amare per quello che è.
Perchè fratelli e sorelle litigano sempre fra di loro?
Cosa puoi fare per limitare o eliminare per sempre tirate di capelli e litigi continui fra i tuoi figli? Che cosa prova emotivamente tuo figlio quando gli rubano i giocattoli? Questo video ti farà mettere nei suoi panni e dopo averlo visto non banalizzerai più il suo senso del possesso e le volte in cui dice È MIO! Lo faremo con la storia dello “scippo” della borsa al parco. Fatti anche tu due risate come le 200 persone che erano presenti in sala: GUARDA IL VIDEO
Dire di NO ai bambini senza scatenare Urla e Pianti
Dire di No a un bambino è inevitabile così come è necessario dare un limite o indicare che una determinata attività non si può fare. Solo che può capitare che tuo figlio non accetti i tuoi “No”, magari si arrabbia o piange quando gli spieghi che non può fare un determinata cosa. Ma esiste un modo per dire di no e per farsi ubbidire evitando crisi di rabbia, urla e pianti? Scopri i 3 passi da seguire in questo articolo. Primo passo: come dire “No” ai bambini? Come primo passo possiamo chiederci: “come mai mio figlio ha questa reazione davanti ai miei “No”? Forse perché questi “No” non sono efficaci? Forse sbagliamo la modalità in cui li comunichiamo? Potremmo quindi valutare il modo in cui gli diciamo di No. Forse non veniamo ascoltati perché lo diciamo in modo troppo aggressivo o troppo duro e secco. Un “No” può essere infatti essere comunicato con fermezza ma senza nervosismi, guardando il bambino negli occhi e utilizzando la dolcezza e l’empatia. Secondo passo: usa l’empatia e lascia da parte le spiegazioni Ad un bambino di 2, 3, 4 anni (ma anche di tutte le età), le spiegazioni interessano pochissimo. In particolare un bambino così piccolo non ha una grande capacità di ricordare le regole del “perché no” o “perché sì”. Dunque, perché davanti a un “No” si arrabbia così tanto? Perché un bambino, più che sapere il perché non va fatta una cosa, in verità in quel momento vorrebbe in particolare essere accolto, essere capito. Vorrebbe sapere che al suo fianco ha un Aiutante Magico, cioè la sua mamma o il suo papà, ad accompagnarlo a diventare grande e che è anche lì per fargli da contenitore rispetto al suo disappunto e alla sua rabbia. Un esempio concreto: mio figlio vuole arrampicarsi sull’armadio! Pensiamo ad una situazione in cui un bambino vuole arrampicarsi sull’armadio ma non è possibile perché non è ancora fissato al muro o perché abbiamo semplicemente deciso che i bambini non devono arrampicarsi sugli armadi perché è potenzialmente troppo pericoloso. Come reagirà davanti a un “No” un bambino di quell’età, nel pieno del periodo dell’esplorazione e dell’allenamento di tutti i suoi sensi e che vuole trovare tutte le risposte alle sue curiosità? Rimarrà frustrato, deluso, arrabbiato come lo rimarremmo noi adulti davanti ad un “No” verso qualcosa a cui teniamo tantissimo. Lo so che ti viene spontaneo pensare: “se non si arrampica su quell’armadio troverà qualcos’altro!” Magari invece per tuo figlio è importante fare quel tipo di esperienza o soddisfare quel tipo di curiosità. La prima cosa che puoi fare, dopo avergli detto di no, sarà quindi accogliere il suo disappunto. Dunque, quando comincia a piangere e a dire cosa come: “mamma sei cattiva! Io lo voglio fare lo stesso!” cosa facciamo? E’ utile attivare la nostra parte comprensiva e far passare questo messaggio per comunicare a tuo figlio che sei il suo tuo Aiutante Magico, che sei lì per aiutarlo, che hai capito il suo motivo e che sai come si sente. Possiamo allora dirgli: Mannaggia amore! Non ci possiamo arrampicare! Ma perché possiamo arrampicare!?!? Mancano le viti dietro! Lo so, è una cosa proprio terribile, perché tu volevi provare ad arrivare fino in cima! Certo, hai visto che i primi due piedi ci stanno e volevi provare. Magari ti avrei anche aiutato. Adesso non possiamo proprio farlo, non si può fare, è pericoloso perché mancano le viti dietro. Terzo passo: trova una soluzione Dopo averlo accolto, possiamo passare al trovare una soluzione. Nel caso dell’armadio ad esempio possiamo dire: Allora adesso diciamo al papà o al nonno che ci vengano a fissare il mobile al muro. Intanto, se quello che volevi era arrampicarti, proviamo a cercare qualcos’altro su cui ci possiamo arrampicare. Vediamo un po’…ad esempio potremmo arrampicarci sul divano, oppure potremmo mettere insieme queste due sedie contro il muro e poi proviamo ad arrampicarci così, oppure ancora potremmo provare ad andare a cercare degli altri ripiani….vediamo se in cucina o in camere se c’è qualcosa che fa per noi… Alcune volte sarà necessario cercare delle alternative e modi per fargli fare l’esperienza. Comunque agendo in questo modo facilmente non arriverete magari nemmeno ad arrampicarvi da altre parti, a me è successo tantissime volte. Nel momento in cui il bambino si sentirà accolto infatti penserà: Ok, mi hai capito, non mi hai sgridato. Hai capito la mia frustrazione, mi hai accolto e mi hai anche fatto vedere come si fa. Mi hai dato un insegnamento, ora io mi sento più tranquillo perché tu mi hai capito. Mi hai tranquillizzato e posso quindi anche accettare di fare altro. Ecco perché questo è il modo meno faticoso per dire di no ai bambini: si sentono capiti e non hanno bisogno di arrabbiarsi o di urlare per comunicarci il loro disappunto. Dare limiti e “No” ai bambini: i 3 step in sintesi 1️⃣ Riflettiamo su come diciamo il “No”: se siamo pazienti, o se siamo già un po’ nervosi perché magari ci portiamo dietro il bagaglio della giornata, ecc. 2️⃣ Prima di spiegare il perché abbiamo detto no (se proprio vogliamo spiegarlo) è fondamentale subito inserire l’accoglienza. Infatti è utilissimo accogliere e fare da contenitore al suo bagaglio, far vedere che siamo con lui. Fargli capire che abbiamo perfettamente capito che cosa sta provando e cosa voleva fare e che non è sbagliato quello che voleva fare. Un’accoglienza pura e sincera da aiutante magico. Se vuoi approfondire come affrontare questo step puoi anche leggere Smettila di piangere! Come calmare le crisi di pianto dei bambini e dei neonati 3️⃣ Troviamo poi, se necessario, come nell’esempio dell’armadio, una soluzione pratica. Puoi trovare ulteriori approfondimenti leggendo l’articolo Tuo figlio non ascolta? Scopri perché non accetta le regole e i tuoi no
Bambini che lanciano oggetti e urlano: ecco cosa fare
Cosa fare quando un bambino a casa lancia gli oggetti, urla, picchia e alza le mani? Per quale motivo si comporta in modo aggressivo con te o con un altro bambino? Spesso i bambini iniziano da piccoli ad avere questo tipo di reazioni fisiche ed esplosive e ad essere maneschi. In questo articolo ti spiego il perché e come può comportarsi un genitore in queste situazioni. Perché mio figlio lancia gli oggetti, urla sempre o mi picchia? In genere i bambini iniziano a reagire lanciando le cose, picchiando, urlando o rompendo oggetti quando sono piccoli, ad esempio anche intorno all’anno e mezzo. Il motivo è che non hanno ancora la capacità di comunicarci cosa sentono, quali emozioni stanno provando. Naturalmente sarebbe bello e semplice se loro ci dicessero: “Tranquilla, voglio dirti solo che sono in crisi. Siediti. Siediti sul divano serena e tranquilla. Ti ho preparato anche una tisana. Ti devo dire che sono incavolato nero. Avrei voglia di spaccare tutto in questa casa. Perché non stai mai con me? Ho bisogno di stare più tempo con te. E poi odio mia sorella. Vorrei eliminarla dalla nostra famiglia e non posso farla fuori.” I bambini, ovviamente, non hanno la capacità di esprimere il loro stato d’animo in questo modo perché sono ancora troppo piccoli. Cosa fanno allora? Si esprimono fisicamente: piangendo, urlando, picchiando, facendo quelli che noi chiamiamo “capricci”, ma che non sono capricci. Si esprimono anche lanciando le cose: la prima cosa che trovano la lanciano. Perché? Perché non essendo ancora grandi, non sono in grado di razionalizzare come noi. Noi adulti quando sentiamo che stiamo per esplodere cosa facciamo? Ci fermiamo, ci ascoltiamo, ci parliamo e ci chiediamo per quale motivo stiamo per esplodere. Cerchiamo di accoglierci, farci un attimo le coccole e troviamo una soluzione. Gestiamo il nostro bagaglio emotivo per non esplodere. Spesso non siamo in grado di fare tutto questo nemmeno noi, figuriamoci un bambino piccolo. I bambini cosa sentono? I bambini sentono un tumulto dentro, un qualcosa dentro che li ha fatti arrabbiare o che li ha impauriti. La loro “pentola a pressione” diventa sempre più sotto pressione: questo insieme di sensazioni cresce e sale sempre più finché scoppiano. E allora ecco che rompono, lanciano gli oggetti, urlano o comunque possono diventare aggressivi. Oppure davanti ad un nostro no, magari detto in maniera un po’ brusca, loro non riescono a fermarsi e a dirci con calma: “perché mi stai dicendo di no? Guarda che io vorrei fare quella cosa perché…” Non avendo ancora una capacità di dialogo così fine ce lo fanno capire con il comportamento, con la rabbia, sfogandosi in questo modo. Non stanno facendo i maleducati, hanno solo il bisogno di esprimersi, di dirci quello che sta succedendo e lo fanno nell’unico modo che per ora conoscono. Hanno bisogno, piano piano nel tempo, di trovare e di assorbire un’alternativa dal nostro esempio. Allora in questi casi che cosa possiamo fare in pratica? Come comportarsi con un bambino che lancia le cose, alza le mani o urla Durante questi momenti di aggressività, rabbia ed esplosione, tentare di spiegare che non si fa serve a poco. Come prima cosa possiamo sicuramente intervenire con fermezza. Se hanno un oggetto pericoloso in mano o se stanno rompendo qualcosa non è necessario stare ad aspettare che si facciano male o lo rompano. Interveniamo: che sia per tirarlo indietro e allontanarlo, che sia per prendere l’oggetto dalle sue mani o che sia per tenergli le braccia in maniera sicura e ferma. Possiamo agire fisicamente con fermezza senza essere arrabbiati e dire ad esempio, mentre lo stiamo tenendo: “Amore Mannaggia cosa è successo! Sei arrabbiatissimo e questo non si può lanciare!” Magari lui nel frattempo si sta dimenando e sei riuscita ad abbracciarlo o a tenerlo perché non si faccia male. Molto diverso è intervenire in questo modo mentre dentro siamo arrabbiati, magari stringerlo e dire con tono duro: “Basta! Ho detto basta!!! Non devi fare così! Quante volte ti ho detto che non devi tirare quella roba! Ti fai male! Ma non vedi che ti fai male?!” In entrambi i casi fermiamo il bambino fisicamente prima che lanci un oggetto o un gioco, ma con il secondo modo si spaventerà, non si sentirà capito e avrà paura della nostra reazione. Nel primo caso invece magari si ribellerà, ma noi saremo sicuri, fermi, tranquilli e continueremo a tenerlo. Se lui dovrà ancora sfogarsi ed esplodere allora esploderà oppure vedendoci calmi si calmerà subito anche lui. Se vuoi approfondire l’argomento puoi anche leggere questo articolo: Smettila di Urlare! Come calmare bambini Nervosi e Agitati È esploso, ha picchiato me o la sorella: capire le motivazioni di tuo figlio Quando i bambini sono piccoli è difficile che ci dicano a parole che cos’hanno, cosa provano. Possiamo però allenare la nostra capacità di osservazione, diventare un po’ dei piccoli Sherlock Holmes e affinare il nostro intuito. Possiamo ad esempio osservare e farci un po’ di domande come: “ok, allora quando fa così si è arrabbiato con la sorella” “Forse è stanco? Ha fame? Si sta annoiando?” “Non sono stata con lui. E già due volte che mi gira intorno e tre volte che gli dico che non ho tempo. Oggi sono nervosa e me lo aspetto che tra un po’ esploderà anche lui” Un bambino potrebbe non capire tutte le nostre parole, ma al cuore gli arriverà quello che vogliamo dirgli, il nostro discorso, il nostro dialogo interiore. Un bambino sente se viene capito, compreso. Anche se i bambini sono piccoli, quando in modo sinceramente dispiaciuto gli diciamo “amore… mannaggia, la mamma oggi non è stata con te”, loro sentono che abbiamo capito. È quel linguaggio tra adulto e bambino, tra genitore e figlio, tra mamma e bimbo, che fa sì che loro sentano che li stiamo ascoltando e non li stiamo rimproverando. Magari piangerà dieci o venti minuti oppure si fermerà subito, ma l’importante è che noi possiamo essere fermi nel dire ciò che non si fa ma anche pronti a comunicare: “capisco perché l’hai fatto, te lo dico e troviamo una soluzione”. Inizialmente sarà necessario agire in questo modo cinquanta, cento volte o fino a quando ce ne sarà bisogno. Gradualmente si abituerà a chiamarvi, a non dover per forza esplodere lanciando oggetti o mordendo e picchiando, anche grazie al fatto che, allenandoci, noi riusciremo ad arrivare un po’ in anticipo, cioè intuire qual è la difficoltà e risolvere prima che la situazione degeneri. Ad esempio vi sarà magari già capitato di notare quando vostro figlio è stanco e vi sarete detti: “se non lo porto a dormire tra dieci minuti qua esplode il maremoto! Perché ha già cominciato a lagnarsi un po’, ad andare di là e ha tirato due volte un calcio a sua sorella… ha fatto un dispetto, lo vedo dagli occhi: è stanco. Se adesso non lo porto a dormire esplode e poi fino a mezzanotte non riuscirò a farlo dormire perché sarà una crisi dietro l’altra”. Gelosia: mio figlio ha picchiato la sorella! A volte capita che siano i più piccoli ad arrabbiarsi con i fratelli più grandi, ma la maggior parte delle volte sono i più grandi che ce l’hanno con i piccoli e che li vedono un po’ come degli intrusi. Noi chiamiamo questa reazione “gelosia” ma, in verità, il loro è un sentimento più che giustificato e spesso i primogeniti si sentono un po’ espropriati del loro territorio. E non è perché sono egoisti, ma perché questo territorio per i nostri figli è fatto dell’amore di mamma e papà e delle loro sicurezze. Ecco che allora si ritrovano a pensare: “Finché c’ero solo io, avevo tutto l’amore e tutte le attenzioni per me. Adesso che è arrivato un altro, o un’altra (o un altro ancora) questo terreno si ridurrà? Dovrò dividerlo per due, o per tre? Ma poi perché ne hanno voluto un altro? Io forse non andavo bene? Forse non sono bastato. Allora lei è meglio di me, certo che io sono arrabbiato con lei. Tutte le volte che la guardo penso che lei sia migliore di me.” È un fattore naturale, i bambini vivono queste sensazioni. Non possiamo spiegare o chieder loro di non farlo. Ciò che possiamo fare è dimostrare attraverso la relazione e la qualità del tempo che passiamo con loro che non è così. A volte non basta neanche dire “Io ti voglio bene, vi voglio bene allo stesso modo”. I figli hanno bisogno di vederlo nella pratica. È grazie a questo che i bambini saranno meno aggressivi, che arriveranno a non lanciare oggetti o eviteranno di urlare e arrabbiarsi, se questo è il vero motivo. Ecco qui sotto qualche altro esempio. È arrivato il momento di cambiare il pannolino alla piccola o di tenerla in braccio Ad esempio, ti stai alzando per andare a cambiare il pannolino alla piccola mentre il grande sta giocando. Un conto è dire: “Ma sì, ci metto un attimo, io voglio bene anche a te” un altro conto è dimostrare che ti ricordi di lui, guardarlo negli occhi e prima che mostri dispiacere dirgli per esempio: “Amore, io vado di là a cambiare il pannolino, se non vuoi stare qui da solo, vieni anche tu di là nel frattempo, prendi i due pupazzetti così continuiamo a giocare…” Oppure: “Devo cambiare tua sorella… ma mica voglio perdermi la costruzione di questo bellissimo castello!… Vado un attimo di là a prendere il cambio e torno… la cambio mentre sono qui con te così non mi perdo nemmeno un pezzettino di questa opera d’arte!” Oppure ancora hai in braccio la sorella più piccola, magari ti siedi perché non riesci a tenerli tutti e due in braccio e puoi dire: “Vuoi venire in braccio anche tu? Guarda che c’è lo spazio! Vieni in un braccio anche tu! Certo che posso prendere anche te. Mi devo solo sedere e posso prendere anche te”. Magari se non lo aveste fatto ve lo avrebbero chiesto e si sarebbero arrabbiati. Ma se lo anticipi loro avranno la certezza, potranno pensare “allora ti sei ricordata anche di me! Allora sì che mi vuoi bene! No, continuo a giocare. Non ho bisogno che prendi in braccio anche me” Hanno dunque bisogno di conferme nella pratica. Litigi tra fratelli: il grande ha picchiato la piccola Quando litigano dico sempre di intervenire e di non sgridare nessuno, di non cercare il colpevole. Infatti cercare il colpevole non serve perché spesso “il colpevole”, cioè chi ha iniziato, è il più ferito dei due, perché è quello che a monte si è sentito minacciato. Quando una piange e l’altro l’ha colpita andrò da tutti e due, mi avvicinerò a quella che piange per consolarla, ma allo stesso tempo chiederò all’altro: “mamma mia amore! per tirarle così forte i capelli deve avertela fatta grossa. Mannaggia questa sorellina che stava proprio giocando lì dove volevi giocare tu e lei si è messa in mezzo. Lo so che ogni tanto ti dà fastidio e non la supporti” Se vuoi approfondire cosa fare in caso di gelosie e litigi tra fratelli, puoi leggere anche l’articolo: Smettetela di litigare! I 4 passi per risolvere i litigi fra i tuoi figli Per fare un paragone, che senso avrebbe sgridare noi adulti perché mangiamo troppi dolci? Se il vero problema è che compensiamo con i dolci un bisogno affettivo, stanchezza o frustrazione, non sarebbe meglio avere qualcuno che ci aiuti a risolvere questa frustrazione, dato che magari i dolci fanno male? Per un bambino è uguale. Siccome non si picchia, non si morde, non si lanciano oggetti e ci sono altri modi per esprimersi da imparare nel tempo, non serve il rimprovero, ma avrà bisogno di vedere come si fa. E allora gli farò vedere come si fa, accoglierò entrambi, non lo colpevolizzerò perché so qual è il problema e quindi a monte ci lavorerò, dando del tempo di qualità, dandogli quello che gli serve per riprendersi le sue sicurezze e risolvendo. Nella pratica, se il problema era che la piccola si è messa dove voleva giocare il grande, vedrò se riesco a spostare lei, se no si troverà un’alternativa insieme, medierò tra loro due e vedrò cosa si può fare per risolvere. Il bambino si abituerà a capire che non lo state rimproverando, non si sentirà sgridato ma capito e dopo un po’ di volte che farete così avrà la certezza del fatto che è avvenuto un cambiamento. A quel punto potrete dirgli: “Vedi, quando succede così, prima di arrabbiarti vieni da me. Quando senti che comincia a venirti il nervoso, vieni da mamma o da papà e ce lo dici. Noi risolviamo. Arrivo prima che scoppino le scintille. Non ce n’è bisogno, basta che tu venga da me e me lo dici.” Inizieranno a venirvi a chiamare perché hanno capito che non siete un pericolo, ma che siete un aiuto, siete il loro aiutante magico. Inizialmente verrà a dirvelo, poi, man mano che crescerà negli anni, imparerà a fare lui quello che avete fatto voi. Imparerà a fare un bel respiro, a calmarsi, a parlare con se stesso e trovare una soluzione. Questo passaggio non avviene subito ma avviene con gli anni, però in questo modo si possono mettere da subito le basi per non avere ogni momento un litigio esplosivo da gestire. Gli esempi di questo articolo ti saranno utili per evitare con il tempo che tuo figlio lanci gli oggetti, arrivi ad urlare o diventare aggressivo con te o con la sorella, il fratello o altri bambini. Se vuoi approfondire il tema della gestione delle emozioni dei tuoi figli, puoi leggere questo articolo: Come aiutare i bambini a gestire le emozioni (senza reprimerle)
Voglio la Mamma! Perchè l’inserimento al Nido e alla Scuola dell’infanzia è difficile?
L’inserimento dei figli al nido o alla scuola dell’infanzia è un momento delicato e spesso anche difficile per i bambini e per i genitori. I bambini a volte fanno i “capricci” (che capricci non sono), piangono, non vogliono andare a scuola… La mamma spesso si sente in colpa perché è “costretta” a lasciare il figlio per andare a lavorare e questi sentimenti di certo non aiutano a vivere serenamente la fase di distacco. Ma perché le spiegazioni razionali non calmano tuo figlio che non vuole andare al nido o alla scuola dell’infanzia? Perché non si calma anche se gli spieghi che devi andare a lavorare? E c’è un modo per farlo sentire accolto e per disinnescare i tanto temuti “capricci” (che capricci non sono)? A volte ci sono delle preoccupazioni che assalgono la mamma che, se non affrontate e sciolte, fanno diventare l’inserimento al nido o a scuola fonte di pianti, tensione e nervosismo per entrambi. Come risolverle? Scopri tutto in questo articolo. Perché l’inserimento al nido e alla scuola dell’infanzia è difficile? Per cominciare possiamo dire che se siamo mamme dispiace a noi per prime lasciare nostro figlio al nido o a scuola, non è semplice emotivamente andare via a vederlo che piange, lasciarlo alle insegnanti… I tanti dubbi e timori irrisolti sull’inserimento e su quello che succederà a nostro figlio al nido o alla scuola materna di sicuro non aiutano la fase del distacco. Per esempio è normale chiedersi: Cosa faccio se mio figlio piange al nido? Quando si fa l’inserimento all’asilo e come evito imprevisti? Come affrontare l’inserimento alla scuola materna? Quanto dura l’inserimento al nido e come facilitarlo? Cosa faccio se non voglio lasciarlo con le educatrici e con le insegnanti? Come si risolve l’attaccamento alla mamma? Asilo a 2 anni: si o no? Molte mamme mi chiedono se è giusto mandare al nido i bambini così piccoli oppure se è meglio di no, mi chiedono come risolvere la situazione se, per necessità, li devono mandare “per forza” e non hanno alternative. Come rendere semplice l’inserimento al nido, alla scuola materna e come far sì che i bambini vadano tranquillamente Innanzitutto quando arriva il momento dell’inserimento i bambini sono ancora piccoli per uscire dal nido familiare e trascorrere tante ore con altri bambini e in un ambiente che non è subito così famigliare. Sappiamo già in partenza che non ci può essere la qualità di relazione che potremmo avere se un bambino potesse stare con la mamma o con papà, con i nonni oppure con una tata tutta per sé, nella sua famiglia. Infatti con pochi adulti che in tutto il tempo della giornata devono comunque essere presenti il più possibile per tutti i bimbi, assecondare la fase dei primi anni del “è tutto mio!” di ogni singolo bambino, e seguire i loro bisogni affettivi è difficile riuscirci con una qualità elevata. Purtroppo però oggi il nido spesso è una necessità, quindi ben venga la possibilità di avere queste strutture a disposizione. Quindi come fare quando siamo costretti a rivolgerci a queste strutture? Allora come si può rimediare e come evitare un inserimento difficile per tutti? 1. Previeni e gioca d’anticipo Il momento migliore è, per esempio, a casa la sera e/o durante il fine settimana. Tuo figlio durante l’inserimento al nido o a scuola avrà bisogno di più attenzioni, di essere accolto di più, di essere più coccolato o molto spesso di arrivare ad avere la possibilità di scaricare la tensione accumulata durante la giornata facendo qualche “capriccio”, dicendo qualche no, piangendo, rifiutandosi di mangiare… L’importante è sapere che la motivazione potrebbe derivare da questo distacco giornaliero. Se accogli tuo figlio, non lo rimproveri, ma semplicemente lo accogli e gli permetti di sfogarsi, lo coccoli molto, cerchi di anticipare i suoi bisogni, allora in automatico riesci a soddisfare quel piccolo buco che si è creato con il distacco e permetti che la situazione non diventi intollerabile o difficile da gestire. Se vuoi approfondire come gestire i “capricci” dei bambini, puoi leggere anche l’articolo: Guida Bimbiveri ai capricci. 2. Evita le spiegazioni: tuo figlio non le comprende e non aiuta a calmarlo Oltre a questo, una volta presa coscienza del fatto che il tuo bambino deve andare al nido e ti trovi tutte le mattine con lui che piange, ti invito a evitare di dare spiegazioni. È quello che d’istinto ci viene spontaneo, il nostro bimbo piange e noi: “dai che mamma torna presto, non fare così. Guarda c’è la maestra. Ma che bello questo gioco! Guarda che sono arrivati gli amichetti! Eh dai che ieri poi ti sei divertito, che la maestra mi ha detto che poi hai smesso di piangere…” Un bambino così piccino non è in grado di comprendere motivazioni razionali. L’ideale è anticipare la sua reazione accogliendo la sua emozione e facendolo sentire compreso. Non aver paura di tenerlo in braccio e dire: “Oooh questo bimbo piange. Eh hai ragione, amore, non vuoi andare. È brutto stare senza mamma, non ti piace vero? Piangi amore, sfogati, la mamma torna presto, viene a prenderti e giochiamo insieme, ma adesso piangi se hai voglia di piangere. Lo so che per te è un momento difficile”. Questo lo aiuterà a sentirsi compreso e quando finirà di piangere, sfogherà, tirerà fuori tutto quello che c’è dentro di lui, e poi inizierà a giocare. Questo è un bene perché il pianto è sempre una valvola di sfogo importante per i bambini. 3. Come sta la mamma e cosa prova in merito all’inserimento del figlio? Oltre a questi suggerimenti, c’è un terzo molto più importante dei primi due: l’età in cui tuo figlio va al nido è un’età molto precoce, un’età in cui inevitabilmente i suoi sentimenti e le sue emozioni sono ancora in completa e totale sintonia/simbiosi con i sentimenti e le emozioni della sua mamma. Quindi, a volte, quando i bambini piccoli hanno un atteggiamento per cui sfogano delle tensioni emotive, piangono, si ribellano, fanno i “capricci”, non dormono, non mangiano, l’ideale è sempre che la mamma si chieda come si sente, per esempio: “Come mi sento e come sto vivendo questo momento di inserimento e di cambiamento?” È possibile che il bambino assorba le nostre emozioni cerchi, in qualche modo, di esprimerli con il pianto. Ecco perché vale la gioia fermarsi e cercare di guardare che cosa c’è dentro di noi. Se questo è il tuo caso, ti invito a prendere uno spazio di tempo per chiederti: “Come mi sento io sapendo che devo mandare mio figlio all’asilo? Voglio o non voglio? È una necessità ma preferirei tenerlo a casa? Soffro tantissimo nel vederlo piangere? Sono io che dentro di me, se potessi, piangerei perché non voglio lasciarlo al nido?” Oppure ecco altri esempi che potrebbero riguardarti: “non voglio andare a lavorare perché il lavoro che faccio non mi piace? È andata bene durante il periodo dell’allattamento, durante il periodo della maternità, adesso devo tornare ma per me è un dramma perché non mi piace quello che faccio.” “E se le maestre dell’asilo non sono abbastanza brave? E se sente la mia mancanza o se lui mi manca? Ma se le maestre della scuola materna non lo conoscono e non sanno assecondare i suoi bisogni, non lo sanno capire come lo posso capire io? Se fosse troppo il tempo che sta fuori casa?…” Queste spesso sono le motivazioni che in te potrebbero rimanere latenti, che non ti concedi di provare e che potrebbero renderti l’inserimento difficile da affrontare. In questo caso è importante prendersi uno spazio serale con calma, prendere carta e penna e sentirti libera di scrivere su un foglio tutte queste emozioni che stai provando, senza giudicarsi, ma anzi lasciando libero sfogo a questa tua parte interiore che comunque soffre, che ha delle difficoltà, che ha delle emozioni profonde da esprimere. Questo ti aiuterà innanzitutto nel trovare la vera motivazione del problema. E, soprattutto, il fatto di poter scaricare queste motivazioni senza giudizio ti renderà più serena, più tranquilla e di conseguenza renderà più tranquillo anche il tuo bambino. 4. Un ultimo piccolo suggerimento pratico per favorire l’inserimento al nido o alla scuola dell’infanzia Lascia un oggetto tuo nello zainetto del tuo bimbo e tu prendi qualcosa di suo. Magari il bavagliolo della sera prima, una maglietta da lavare che ha ancora il suo profumo. Portala con te durante il giorno, durante la tua attività lavorativa e vedrai che ti sarà utile per non sentire troppo la sua mancanza. E poi fai di tutto per recuperare il tempo perduto: più gli darai attenzioni alla sera, durante il fine settimana e più sarà facile evitare di sentirti in colpa perché lo lasci tante ore da solo 😊 Per approfondire questo tema puoi leggere: Tempo di qualità con i figli: ecco 4 modi per garantirlo Spero che questi suggerimenti ti aiutino a vivere al meglio la delicata fase dell’inserimento di tuo figlio al nido o alla scuola dell’infanzia.
I terribili 2 anni non esistono (e neanche i terribili 3)
Le domande delle mamme relative alla fase dei terribili 2 anni (terrible two) sono quasi sempre: 1️⃣ Quando iniziano i terribili 2 anni di mio figlio? 2️⃣ Quanto dura questa fase dei terrible two in cui il mio bambino è diventato ingestibile? 3️⃣ E quando finiscono? Dopo mi devo preparare anche ai terribili 3? Iniziamo con il dire che questa fase definita terribile dei bambini potrebbe non esistere. Infatti i terribili 2 dei bambini sono una grandissima bufala. Posso immaginare che ti sembri un’affermazione assurda perché tutti ti dicono il contrario. Leggi fino in fondo e scoprirai che un motivo più che valido esiste. I “Terrible two” o i “Terrible three” esistono nella mente di un genitore (educatore, nonno o insegnante) che non conosce il “Libretto delle Istruzioni” dei bambini. Cosa significa “Libretto delle Istruzioni”? Significa sapere come “funziona” tuo figlio e come cresce in ogni fase di crescita. Se non conosci il “Libretto delle Istruzioni” è inevitabile che con un bambino tu non sappia cosa fare o cosa dire oppure non sappia perché si comporti in un determinato modo. Di conseguenza le provi un po’ tutte e l’unica cosa che ti resta da pensare quando tuo figlio continua a non ascoltarti è che siano arrivati i famosi terribili 2 anni. Poi arriveranno i Terribili Tre… Chissà, forse si inventeranno presto i terribili 4 anni o magari i terribili 5 anni! In verità non esiste realmente un periodo “terribile” per i bambini a 2, 3, 4 o 5 anni… Potrebbe essere che noi lo definiamo così solo perché non riusciamo a darci determinate spiegazioni? Perché non riusciamo a intervenire e risolvere un momento di difficoltà? È importante invece iniziare a conoscere come siano fatti i bambini in un determinato momento della loro vita, imparare a capire di cosa hanno bisogno, che cosa ci stiano dicendo con il loro comportamento e quali siano le loro vere motivazioni. Se noi, pensando di essere entrati nella fase dei terribili 2 anni mettiamo al primo posto le regole aspettandoci che il bambino ci debba rispettare e obbedire come prima cosa, ci ritroviamo nei pasticci. Bambini che non vogliono dare la mano: cosa faccio se non mi ascolta e vuole attraversare la strada da solo? Per esempio supponiamo che tuo figlio a 2 anni o 3 anni si rifiuti di darti la mano mentre attraversate la strada. Magari dopo un po’ lo farà solo perché abbiamo alzato la voce o abbiamo iniziato a fare la faccia cattiva e lui si è impaurito. Comunque non ti darà la mano spontaneamente con gioia e senza una tua sgridata o una tua alzata di voce o un ricatto. Come troviamo una risposta e una soluzione? Le troviamo iniziando a ragionare e a pensare come farebbe un Aiutante Magico, che metterebbe in secondo piano la regola e il limite (che comunque sono importanti e necessari per i bambini) e in primo piano la motivazione. Se vuoi trovare una soluzione devi porti una domanda. Ad esempio, se tuo figlio sta urlando a squarciagola perché non vuole darti la mano per attraversare la strada, la prima cosa da fare è chiederti: “Perché non vuole darmi la mano?” Le ipotesi sono tante. Magari ti affanni e ti preoccupi di più quando vi trovate in situazioni pericolose per tuo figlio ma forse lui non ti ascolta e rifiuta le tue regole anche in altre situazioni. Allora forse bisogna chiedersi: 👉 “Con quale atteggiamento io comunico le regole a mio figlio?” 👉 “Come gli dico di no?” 👉 “Sarà adatto il modo in cui gli dico di no per la sua età?” 👉 “Può essere che io ogni tanto mi innervosisca e perda la pazienza?” 👉 “Può essere che io sia troppo molle nella relazione e lui ormai è abituato a fare tutto ciò che vuole?” Possibili motivi che portano a pensare ai terribili 2 anni dei bambini Forse nel momento in cui gli dici “no, qui devi darmi la mano” lui si rifiuta perché è abituato a decidere su tutto. Altro motivo: se lo “prendiamo di petto”, utilizziamo da subito un tono duro e cerchiamo di costringerlo sarà difficile che un bambino ci ascolti e ci dia la mano con entusiasmo. Oppure, come capita spessissimo ai bambini in questa età, sta iniziando a trovare la sua autonomia. Ha iniziato a sentire il corpo che può stare dritto in piedi e, nel frattempo, può camminare o addirittura correre! E si sta rendendo conto che la stanza dei bottoni di questa macchina ce l’ha lui. È lui che riesce a far muovere i piedi le braccia, a coordinare i movimenti di tutto il corpo per saltare come una gazzella! Fantastico! Ancor più lo è stare davanti ad una strada, dove il bambino vede la mamma e il papà che guardano a destra e sinistra tante volte e probabilmente pensano: “deve essere una sfida fantastica provare a vedere se riesco a correre fortissimo!” Il motivo potrebbe essere banalmente questo, che fa proprio parte della loro natura di questi anni. La soluzione dello “svezzamento” Allora da Aiutante Magico che cosa dovremmo fare? 1° Passo per non entrare nel vortice dei “terribili 2 anni” In merito all’esempio della strada una volta ipotizzata la motivazione potremmo dare la soddisfazione al bambino di poter camminare tanto e correre al parco, lungo i marciapiedi larghi o in strade poco trafficate. Davanti a una strada o luogo sicuro possiamo dirgli: “Corri! Corri pure! Io ti aspetto qua, tu corri tranquillo fin laggiù e vai avanti e indietro quanto vuoi!” Nel momento in cui deve attraversare la strada con la mamma il bambino sarà molto più rilassato perché non avrà alle spalle minuti o ore di privazione fatti di “Non correre!” “Aspetta, fermati!” “No! è pericoloso, dammi la mano!”. Si sarà sfogato, avrà soddisfatto le sue curiosità, avrà corso e gli verrà più facile dare la mano alla mamma per attraversare quel pezzetto di strada più pericoloso. Puoi approfondire come soddisfare la curiosità del tuo bimbo evitando incidenti leggendo anche Pericoli in casa e bambini: perché toccano le cose pericolose? 2° Passo per non entrare nel vortice dei “terribili 2” Successivamente potremmo passare invece a fargli attraversare la strada senza dare la mano in posti privi di pericoli, come il vialetto di casa, la strada del parco dove passano al massimo pedoni o biciclette. In questo modo potrà fare l’esperienza di attraversare da solo una strada in un posto sicuro. 3° Passo per non entrare nel vortice dei “terribili 2” Si può, a questo punto, giocare ad attraversare la strada, guardando e riguardando insieme per bene se stia arrivando qualcuno. “È pericoloso? Che dici? No aspetta guarda, sta arrivando quella bici: la facciamo passare! Ciao ciclista! Bene, ora davvero non c’è nessuno e possiamo attraversare veloci come un fulmine! Via!!!” E si attraversa insieme a lui ovviamente senza dare la mano. Lo si abitua in questo modo con uno “svezzamento” in luoghi in cui non ci sono pericoli. Al semaforo in pieno centro città attraverserete dicendo: “Qui bisogna tenere la mano al semaforo” e gli terrete la mano saldamente, senza arrabbiarvi. Come nel precedente esempio, anche in questo caso lui penserà: “Beh, in fondo me la fa attraversare un sacco di posti: ok questa volta le do la mano”. 4° Passo per non entrare nel vortice dei “terribili 2” La fase successiva è far attraversare la strada al tuo fianco da solo, senza tenersi per mano, dicendogli dove fermarsi o procedere. Se tra voi e vostro figlio c’è una buona relazione, perché non dovrebbe ascoltarvi? Se hai compreso la sua motivazione e quindi la sua voglia di affrontare questa sfida, tuo figlio si ritroverà a pensare: “Perché non dovrei dargli la mano? Non sono arrabbiato con lei per nessun motivo! perché con me ha una relazione fantastica ed è una mamma fantastica. Certo, se mi chiede di darle la mano le darò la mano”. Se un bimbo così piccolo, con i suoi due anni, ha imparato a coordinarsi, ha scoperto di essere lui il pilota del suo corpo, insieme a tante altre prese di coscienza, bisogna festeggiare, perché è qualcosa di bellissimo sia per lui che per i suoi famigliari. E come vedi questi 4 passaggi ti consentono di “trasferire” una buona abitudine a tuo figlio evitando sgridate e di etichettarlo come un bambino di che si trova nella fase dei terribili 2 anni o 3 anni. Bambini che rifiutano le regole o sembrano ingestibili: i 4 passi per non ritrovarti nelle sabbie mobili Dall’esempio dell’attraversare la strada possiamo riassumere alcuni suggerimenti importanti che valgono anche nelle altre circostanze: 1️⃣ Non partire con l’imposizione forzata delle regole e metti al primo posto la qualità della relazione con tuo figlio 2️⃣ Rispetta il suo bisogno di voler sperimentare tipico dei primi anni dei bambini (più reprimi questa fase più i bambini tendono a essere nervosi) 3️⃣ Trova soluzioni pratiche che consentano a tuo figlio di fare esperienza in sicurezza con la tua presenza anche con situazioni e con oggetti che possono essere pericolosi come attraversare la strada 4️⃣ Quando possibile divertiti con lui e trasforma l’esperienza e l’insegnamento della regola (guarda da entrambi i lati sempre prima di attraversare una strada) in un gioco o comunque in un momento divertente per voi Quale risultato otterrai con questi passi? Per cominciare smetterai di urlare o ricorrere alle minacce per farti ascoltare. Smetterai di pensare alla fase dei terribili 2 anni dei bambini e cercherai invece di comprendere i motivi per cui tuo figlio si comporta in un determinano modo. Infine tuo figlio si sentirà compreso e capito da te, rispettato, e di conseguenza ti ascolterà di più. Puoi trovare altri spunti per comprendere meglio le motivazioni alla base dei comportamenti di tuo figlio leggendo l’articolo: Tuo figlio non ti ascolta? Scopri perché non accetta le regole e i tuoi no.
Compiti: si distrae e vuole sempre fare pause!!
Perché i bambini e i ragazzi non restano concentrati a lungo e si distraggono facilmente? Scopriamo come i bambini e i ragazzi di oggi apprendono.